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Marc Ford
nuovo album "Weary and Wired"
Recensione "Buscadero" - aprile 2007













Uomo dalle mille sfaccettatture, Marc Ford vanta nel suo curriculum una permanenza nei Black Crowes dal 1992 al 1994 e la sua partecipazione a The Southern Harmony and Musical Companion, Amorica e Three Snakes And One Charms.
La carriera di Ford comincia un pò prima, in seno ai Burning Tree, combo di blues rock fine anni ottanta, che parecchie volte avrebbe aperto proprio per la band dei fratelli Robinson.
La componente blues resta nel sound del chitarrista, qualche volta in maniera neppure tanto velata. Preferiamo piuttosto pensarlo come un libero bastiano del rock, uno che si sarebbe seduto con i Gov't Mule e che sarebbe tanto piaciuto a Lucinda Williams e Ben Harper, il quale ha preferito includerlo nel suo Both Sides Of the Gun e con i suoi Innocent Criminals ha trascorso il 2003; di sicuro i Crowes, in qualche modo avrebbero patito l'assenza del suo sound viscerale; lo si può facilmente arguire da questo pugno di pezzi potenti, sporchi e stradaioli, con sani accenni "seventies" e con qualche richiamo blues, notificato, oltre che dalla acida rilettura di The Same Thing (Willie Dixon), fin dall'introduttiva e splendida Featherweight Dreamland, che se dovessimo classificarla, lo faremmo con il semplice e generico termine di "roccaccio", talmente in aria da "buona la prima", che la parte cantanta sembra eseguita nella stanza accanto.
Quel roccaccio la cui anima pervade un pò tutto il lavoro e brani tosti e ostinati Bye Bye Suzy, rock'n'roll a velocità vertiginosa, Running man Blues o 1000 Ways.
Da brani come questi si intuiscono le possibili influenze vicine e lontane di questo personaggio, il cui cuore deve aver battutto non poco per gente come Hendrix (The Other Side) o gli Stones (nonchè la ragione del rispetto che gli devono i Black Crowes, nonostante le diatribe).
La band pesta duro (complice la battuta rocciosa del batterista Dony Gray); la chitarra ritmica è di quelle serrate, sulla quale Marc poggia i suoi assoli lucidi e brucianti.
E' capace comunque di conferire ampio respiro ai pezzi, vedi I'll Be Over Soon o Dirty Girl, l'urlata Just Take The Money (qualche passaggio che rimanda ai Cream...o meglio tutta l'enciclopedia del rock più classico), l'errebì stravolto Don't Come Around o la più fangosa Medicine Time, frutto di una tirata trama funky e di un coro che "tira il pezzo per i capelli"; tanto sanissimo rumore dunque, in mezzo al quale trovano spazio la bravura del chitarrista e una bellissima ballata come Currents; la produzione (sè stesso) non avrebbe potuto trovare sound migliore. Un consglio, scontato ma sempre valido, suonatelo in macchina (occhio ai limiti).
Soprattutto, "play it loud"!

Roberto Giuli



 

 
 
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