Patrizia
Laquidara e Hotel Rif Cd "Il
Canto dell'Anguana" tratto
da "Musica Accordo.it" autore Sergio Sta - 10 marzo
2011
Fare un disco in dialetto, in Italia, è sempre difficile.
Passare dalla tranquillità rassicurante del pop o rock
italiano (per
molti versi ormai uniforme a tanti standard esteri), al
mettersi in gioco maggiormente con un progetto simile, richiede
un bell'impegno.
In Italia abbiamo avuto, dagli anni settanta in poi, tanti
nomi anche famosi e seguiti volentieri dalla stampa, impegnati
nel recupero della "musica popolare", spesso
unita al rock, però salvo eccezioni si è sempre
trattato di artisti provenienti da determinate aree geografiche.
E' con piacere, quindi, che si accoglie l'uscita di Il
canto dell'Anguana (Slang Records), pubblicato da Patrizia
Laquidara con gli Hotel Rif (il disco è accreditato
a entrambi i nomi), perchè esce un pò dalle vie
battute di cui si diceva.
Patrizia Laquidaria si è sempre dedicata alla musica
extra-leggera, con vari progetti, studiandola seriamente (anche
al CET di Mogol), e affiancandola alla passione per la musica
mediterranea e sudamericana. Questo album è, in un certo
senso, una raccolta di tutte queste influenze musicali; non è un
disco "purista",
ortodosso, di musica regionale: i testi, in dialetto alto vicentino,
sono d'autore, scritti cioè dal poeta Enio
Sartori, a volte
elaborati assieme, e lo stesso discorso vale per le musiche
(spesso a firma di Alfonso Santimone degli El
gallo rojo, quando
non di Patrizia o del gruppo).
Il senso è proprio qui, nella
duplicità di una siciliana trasferitasi in Veneto, che
rende omaggio alla sua terra d'origine e a quella che l'ha
accolta, elaborando un disco sull'Anguana (donna-serpente dei
racconti popolari che appare vicino ai luoghi dove c'è l'acqua
e acquista poteri magici), chiamando a raccolta ospiti di varia
provenienza (Alfio Antico, Puccio Castrogiovanni,
Le Canterine del Feo)
e imbastendo musiche che risentono di Mediterraneo ma cantate
in dialetto altovicentino (ma c'è anche una filastrocca
siciliana), suonate con una panoplia di strumenti come bombarda,
oboe, flauti, gaita, fisarmonica, assieme a cavaquinho, maranzano
(lo scacciapensieri) e tamburi a cornice oltre agli strumenti
"canonici" come
chitarre, basso, batteria.
Un pò come si diceva per altre
cose negli anni passati, essendo locali in ambito e proiezione
globale.
Il risultato è un disco molto bello, raffinato e viscerale
al tempo stesso (anzi, una delle sue forze è proprio
nell'alternare
momenti diversi: la confusione quasi da taranta e quelli da
danza di paese agli episodi più dolci, lenti e notturni).
Uno dei modi di avvicinarvisi potrebbe essere proprio quello
di superare lo scoglio linguistico considerando il dialetto
come lingua altra, quale in effetti è (leggendo poi
le traduzioni dei testi in italiano), godendosi l'ottima musica
e lasciandosi rapire dalla voce di Patrizia Laquidara: sia
quando canta come un'invasata, sia quando suadente e dolce, è di
una bellezza arcana.
Sergio Sta
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